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Dicembre 2023 | ||||||||
Quando il Naviglio era il Naviglio, non i
Navigli, quando si muovevano lenti i barconi e non frenetica la movida.
Quando ci trovavamo la sera noi, tre amici e una spaesata bretone, quando
si tirava tardi e poi mattina, mangiando poco o niente, bevendo il giusto,
quelle notti sprecate non sono sprecate, me le ricordo tutte. C’è
una canzone di Nascimento dedicata agli aerei della Panair con quella
strofa che conosco a memoria e le riassumeva bene: Nada de novo existe
nesse planeta/Que não se fale aqui na mesa de bar. Tre mancati
giornalisti che parlavano di tutto quello che succedeva di nuovo, tenuti
svegli fino all’alba dalla curiosità di immaginare come sarebbe
andata a finire su questo pianeta. In una casa di ringhiera al Ticinese,
ai lati della corte le casere dove un tempo si mettevano a stagionare
i formaggi. Prima che inventassero i NoLo, i GiaLo e i ViPreGo, i quartieri
più disperanti rivalutati e poi sopravvalutati, i prezzi alle stelle,
la merda a peso d’oro. E si restava a casa perché non c’era
un buon motivo per uscire. Erano sbalordite le due amiche di Barcellona
quando cominciarono a rivoltare le sedie, allo scoccare della mezzanotte,
in quella specie di osteria dove l’anno prima si tirava tardi, la
sera stessa nella quale ci controllarono i documenti, attirando l’attenzione
con un colpo del calcio della mitraglietta sui cristalli dell’auto.
Negli anni di piombo, eri sospetto perfino sulla soglia di casa, una cascina
circondata da un parco giochi. Mostrammo le carte d’identità
e nella fioca luce indicai il numero 16 sul portone, tutto corrispondeva
e si allontanarono nella nebbia verso i Mercati Generali. Via. Via. Fuori
da qui. Batticuore. Non si sente l’esigenza di cercare ulteriori momenti di stretta intimità quando si è già dentro la mente, il corpo, il cuore, il cervello, l'uno dell'altra. Senza essersi mai sfiorati, senza aver mai giocato a carte scoperte. Dio come ti amo. Nemmeno sotto tortura, nemmeno al karaoke l'avrei cantata, scandendo bene ogni sillaba, come faceva Domenico Modugno. Il bagno più unico che raro della mia vita l’ho fatto nel mare a un passo da casa sua, molto esclusiva, forse abusiva, sulla spiaggia simbolo di Lampedusa, pochi giorni prima che il suo corteo funebre attraversasse l’isola. Una sabbia come polvere d’oro, un’acqua come una carezza leggera, una delusione profonda dopo il faccia a faccia con i topi gonfi, a galleggiare lenti senza meta intorno a uno scoglio poco lontano dalla riva. Non esattamente la Spiaggia dei Conigli. Fermo ai box. Un ragazzo complicato si troverà bene finché vive solo con ragazze complicate. L’ho confessato a Greta: prima non ne voleva sentir parlare, poi mi ha ricordato che sono sposato, poi mi ha detto che ero matto, infine mi ha capito. Quando ti ritrovi in terapia intensiva, la cannula dell’ossigeno nelle narici, più flebo in contemporanea, il saturimetro, la telemetria, il catetere, ci vuole una ragazza complicata che non ti lasci troppo solo, ci vogliono i suoi tatuaggi e i suoi capelli rosa. Credo abbia giusto l’eta di mia figlia, la stessa età che mi sento addosso, trenta e qualcosa, ma a pensarci bene, direi quindici-diciotto: una colossale gioventù. È una reazione alla mia condizione e mi accompagnerà finché rimarrò inchiodato, incastrato, impedito, nel letto del box numero tre. Diciamo che la mia dipendenza è totale, la familiarità forzata. Diciamo che scatta un transfert, forse qualcosa di vagamente incestuoso. Diciamola tutta e per bene: invece di cambiare i pannolini, mammina svuota la tue sacche d’urina. Ci si può anche scherzare sopra, alle prime luci, dopo una notte quasi insonne. E’ facile da spiegare, ma ti prende di sorpresa, il vuoto che si crea quando ci si perde di vista perché i parametri sono molto migliorati: come un cordone ombelicale tagliato di netto. Memento mori. Oggi a casa, nel mio letto, i pensieri si rincorrono, si incontrano, si perdono. Torna quella che si definisce tecnicamente tachicardia atriale. Per fortuna la frequenza non vola sopra i 130 battiti al minuto. Anche questa volta si autorisolve, colpevole è l’ipopotassemia che si andrà a compensare con l’ennesimo farmaco. Non mi sembra il caso di disturbare il sonno della persona che riposa al mio fianco, mi basta sapere che c’è, ci sarà. L’unica con cui vivo il presente, il mio punto esclamativo di riferimento. Cerco di immaginare l’incerto futuro: tre mesi, sei mesi, un anno... Penso all’ultima confessione, quella che non prevede una grata, il bisbigliare fitto e la penitenza, ma un parroco sconosciuto che si piega amorevole sul lettino: per istam sanctam unctionem... Non mi ci vedo protagonista di quella scena, per quanto possa sforzarmi, grazie a Dio. Amen. |
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