“L’edificio era situato fino a
oltre la metà del ventesimo secolo in una zona di ortaglie sfuggita
all’edificazione. Attualmente, il cascinale di incerta attribuzione:
insediamento di una congregazione religiosa o abitazione villereccia di
probabile origine settecentesca, è stato ristrutturato ed adattato
ad uso abitativo”. In altre parole, l’ennesimo bed and breakfast.
La fotografia di Cascina Graffignana è datata 1935. Qualche rosellina
e foglie secche tapezzano la corte fino all’arco del porticato.
Si indovinano sullo sfondo il colonnato di granito rosa, i nidi di rondine
aggrappati alle travi. Se esco dal porticato, muovendo i primi passi insicuri,
poi quelli di un bambino curioso, poi quelli di un adolescente timido,
entro in un tripudio di piante, erbe aromatiche, fiori e frutta. Aucuba,
lauro, oleandro, salvia, rosmarino, timo, menta, azalee, gladioli, rose,
dalie, girasoli, zinie, mughetti che guardo distrattamente per avventurarmi
più avanti sul sentiero, orlato d’invadente portulaca. Dove
mi aspettano l’albero d’albicocco, le prugne Reine Claude,
le fragoline, l’uva americana, le piccole pesche bianche, il ribes
e contro un muro giù in fondo, i fichi maturi bianchi e neri e
i loro rami sui quali le lucertole procedono nella loro pigra, assolata
esplorazione. Dall’altro lato del sentiero, scendono fino a toccare
terra i rami di un abete sotto i quali giochiamo a nascondino. Il quadretto
bucolico sopra disegnato è lo stesso nel quale si muove, poco dopo
il mio quindicesimo compleanno, il corteo funebre alla testa del quale
sta mio padre. Da quella estate in poi, per un anno, porto una cravatta
nera e porto pazienza quando qualcuno ignaro se ne esce con l'innocente
domanda: ”Ti è morto il gatto, Paolo?”. Quando viene
il momento di lasciare Cascina Graffignana, traslochiamo a Colombe’
di Sotto. Posta di fronte, al di là della strada, c’è
Colombè di Sopra e i campi coltivati dalla famiglia paterna. "I
due edifici risalgono con ogni probabilità al primo settecento.
La via su cui si trovano è una strada storica e corrisponde alla
via Paullese, percorsa da viandanti, spesso appiedati, che dovevano evitare
ostacoli naturali, rogge, fiumi e boschi". Ho rimosso molti ricordi
del tempo passato a Colombè di Sopra. Nella sala grande, c’erano
un giradischi e una piccola collezione iniziata da un cugino: tre o quattro
quarantacinque giri di Elvis Presley e Plein soleil di Gilbert Becaud,
ascoltati e riascoltati nei pomeriggi nei quali tenevo compagnia alla
nonna, in impaziente attesa di essere riportato a casa. Mi piaceva tanto
andare dal campè. Nelle viscere della città, gestiva con
abilità il sistema delle chiuse. Il fossato si riempiva in un baleno
e io avevo il compito di alzare gli sbarramenti per liberare il suo corso,
mentre libellule danzavano spargendo scintille dorate tra le due sponde.
Tutto fantastico, se non fossi stato preoccupato per la sorte dei grilli
talpa, sorpresi dall’acqua nei solchi. Non prevedevo il mio futuro,
ma sentivo che non ero destinato ad essere una comparsa di un inedito
”albero degli zoccoli”. A passo spedito, l’Università,
Piazza Fontana e il Duomo si potevano raggiungere in una mezz’ora.
Ero già canzonato come il piccolo lord dagli amici del quartiere
e avrei avuto per sempre quei lineamenti e postura da inglese riservato
che suscitarono la curiosità delle belle parigine. Quanto al cugino,
mio padrino della cresima, trovò un posto a sedere nel consiglio
di amministrazione del secondo polo televisivo italiano. Passo dopo passo
mi allontanai lasciandomi per sempre alle spalle ”l’albero
degli zoccoli”. Non ne ho mai calzato un paio in tutta la vita. |