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Gennaio 2024 | ||||||||
Sei commossa, lo vedo. Sei commossa
perché sarà nostro, sarà di Greta, l'appartamento
di Roiano affacciato sulla piazzetta, sul sagrato della chiesa
dei Santi Ermacora e Fortunato. Ti sei commossa perché
qui vicino, di stagione in stagione, inerpicandosi sotto il sole
cocente o su traditrici lastre di ghiaccio, si prendeva la via
dei Moreri e lassù in cima stavano i tuoi nonni materni.
A Piscanci o Pišcanci, non fa una gran differenza. Quelli
paterni invece erano in una villetta in centro città, una
molto facoltosa famiglia di origini austriache, la ricchezza evaporata
in un lampo negli anni del secondo conflitto mondiale. Ma la tomba
centenaria, non è certo evaporata. Sono così irritanti
i nuovi ricchi, così adorabili i nuovi poveri. Hanno avuto
in dono quella cosa che non si impara e non si compra. La fortuna
di essere a proprio agio, naturali, ovunque si trovino. E io,
il ragazzo più timido del quartiere, proprio di questo
avevo bisogno. Sono di nuovo in ospedale con tre flebo che ho
trascinato fino alla saletta parenti, davanti a me le vetrate
che danno sui boschi dai quali entrano, ormai con il contagocce,
i migranti. Non ho più altro io, all'infuori di te. Quel che resta del mio cuore è tuo: totalmente, teneramente, tragicamente. Sono così sentimentale oggi che ti regalo qualche strofa della canzone più sentimentale che conosco. Ascolta. “Intralciate la marcia degli eserciti, dei plotoni /Io non sono felice / Smantellate nei cantieri le navi da guerra / Io non sono ancora felice / Paralizzate nei cieli tutti gli aerei! / E’ urgente, io non sono felice / Ho diciassette anni / sono castano chiara, attraente / E sentimentale sentimentale, sentimentale. Torno sui miei passi. Scendo di nuovo alla fermata Roiano. Incollo questo testo senza avventurarmi in una traduzione che tradirebbe il sapore di un mondo perduto. Lo faccio senza il permesso dello sconosciuto autore. Testarde e vive a Trieste sono le tradizioni, la pena della vita quotidiana alleviata dai popolari, elementari piaceri della tavola condivisa: asparagi selvatici con le uova, salsicce, radicchio, tovaglie stese sul prato, osmize, vino… Si beve, si ricorda. “Trieste, questa città sconosciuta. Cusì se podaria ciamar le tue foto de Roian. Pasà davanti, tantisime volte. Ma drento, soto el ponte, poche volte. De putel, forsi quando ‘ndaimo a Opcina su par Scala Santa a ingrumar sparisi. Mio papà ‘ndava mato par sparisi coi ovi. Ma iera una o do volte in primavera. Me ricordo de una osmiza, dove che mama ga distirà un ninziol sul pra e i ne ga portà ovi duri, radicio e naturalmente vin. Gavevo quatordise ani. Un’altra volta, forsi la stesa osmiza, con mio fradel gavemo magnà luganighe. Iera otobre 1947. Guera finida. Altrimenti Roian iera estero. Vedendo le foto me par de eser turista” |
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