IN EXTREMIS
 
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SIPARIO APPENDICE POSTFAZIONE ANTEPRIMA
Ottobre 2022
«Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati». Mi capita sempre più spesso di commuovermi. Molto spesso ascoltando musica. Non solo Beethoven, Mahler, Milton Nascimento, Robert Wyatt e Julian Cope. Piango per Monk al pianoforte, alone in San Francisco. Per l’armonia, la melodia, la bellezza, la gioia, il dolore e la solitudine. Ma anche per una di quelle raccolte di Ministry of Sound, mentre immagino di realizzare il vecchio sogno di essere al centro della pista e da ogni angolo partono e si mescolano suoni diversi, tutti a 130 bpm, in una metropoli di almeno dieci milioni di abitanti, Londra o Tokyo, Shanghai o Istanbul o ancora meglio San Paolo - la house ti riporta sempre at home - sotto una pioggia ininterrotta di luci, sotto l’effetto di svariati fusi orari. Verso qualche lacrima sulle note di Sentimental di Chico Buarque nell’interpretazione di Maria De Medeiros, saudade da saudade. Piango con il poeta per i miei desideri non realizzati “pianti e sepolti dentro un mausoleo, la testa fra le rose, coi gelsomini ai piedi”. Per Joyce, mentre immagino “la neve cadere lieve nell’universo e lieve cadere, come la discesa della loro ultima fine, su tutti i vivi e i morti”. Piango per i miei di morti: riposano in un cimitero nel quale non sono mai entrato, in una tomba che non ho mai visto. Ma che importa, mia mamma l’avevo già accompagnata in paradiso, visto che ci teneva tanto, spingendo la sua carrozzina lungo i corridoi senza fine e le finestre alte del Pio Albergo Trivulzio. Mi pento e mi dolgo disperatemente per gli altri miei morti, morti prima di essere nati, prima di sentire il loro pianto. Piango se penso a quella sala del cinema Mexico dove ho visto in prima fila Heimat 2. Alle mie spalle, tutti i posti erano come occupati dagli amici vicini e lontani, dagli amori veri e immaginati con cui avevo condiviso gli anni di sogno, gli anni di polvere, gli anni di piombo. E malgrado la complicità generale per mantenere il silenzio al riguardo, dico che porta alle lacrime quell’immagine di Holger Meins, scheletrito cadavere. Dagli atrii muscosi, dai fori cadenti, d’in su la vetta della torre antica, dal nevoso aere, dalle dentate scintillanti vette, da colli beati e placidi, da scaglie di mare, solo et pensoso per lo solingo piano, piango. Oggi sto meglio, non potrò mai più dire di stare bene. Piangendo perdo liquidi, prenderò meno diuretici. E ora che l’ho scritto, non so più se devo ridere o piangere.