“Caro Lacchini, con i tempi
che corrono -o che si dice corrano- lei è un caso un po’
insolito se è poco contento di un lavoro nel copywriting”.
Franco Fortini è già da anni professore universitario
a Siena. In effetti sono al lavoro nella meglio reputata delle
agenzie milanesi, per così dire al centro del mondo, ma
non mi sono mai sentito parte di quel mondo. E non mi sento neppure
all’altezza. Probabilmente preferirei tornare al giornalismo.
Scrivo una lettera al professore di lettere, costata molta fatica
e inviata senza grandi speranze. Mi risponde, sottolinea il fatto
che non ha che poche conoscenze e nessuna pièce à
l’appui, chiude con l’atteso consiglio: “Ma
intanto perché non dà quell’ultimo esame e
quella tesi?” Il mondo deve andare avanti, la stagione del
disincanto è sfiorita da un pezzo. Eppure:“Lo conosciamo
bene il vostro finto progresso / il vostro comandamento / Ama
il consumo come te stesso”. È nella prima versione
di De André della Canzone di maggio, mai incisa. Quasi
nessuno ricorda che il sessantotto francese conta più morti
suicidi nei mesi e anni a seguire che caduti durante gli scontri.
Incluso il copywriter coautore del pluricitato Sous le pavé
la plage, finito sotto un treno della metropolitana parigina alla
stazione Gaîté (Allegria). Quarant’anni dopo,
lasciata Milano, vivo sul Carso triestino e scopro in ‘Ritorno
a Trieste. Scritti over 80’ di Sergio Bologna, un capitoletto
dal titolo: 'I poeti e la pubblicità. Note su Fortini copywriter
all’Olivetti'. A quanto sapevo io con certezza, il nome
Lettera 22 lo aveva suggerito lui. Scorro le pagine fino ad arrivare
al punto che cercavo. “Nella Germania di Weimar più
di uno scrittore si pose al servizio della pubblicità,
Frank Wedekind per i dadi e le minestrine Maggi, Bertolt Brecht
per la fabbrica di automobili Steyr, Erich Kastner per il suo
giornale. E tuttavia fin dall’inizio di questo rapporto
tra talento letterario e pubblicità ci fu chi lo giudicò
un tradimento. Un’accusa toccata solo ai copywriter, a nessuno
è venuto in mente di rimproverare i grafici. Non so come
Fortini giudicasse la sua collaborazione con l’Olivetti,
se ne parla così poco forse non ne era tanto orgoglioso?”
Made in Usa. Godard. 1966. Anna Karina, sottotitolata nella lingua
madre del marketing, non aveva già brutalmente avvertito:
“I think advertising is a form of fascism”? "Meno
compri, meno ti vendi", non so davvero chi l’abbia
partorita, ma è la mia headline preferita e dà un’idea
di come abbia vissuto serenamente la mia storia di copywriter.
Per quanto possa essere rilevante, decido di chiuderla fuori tempo
massimo, chiudendo in contemporanea anche una coronaria al 100%.
“Se c’è qualcuno qui tra voi gente che lavora
nella pubblicità o nel marketing… prego, uccidetevi
pure, ammazzatevi adesso!” |