Nessuno in famiglia mi ha mai raccontato nulla di significativo
degli anni della seconda guerra mondiale. Eppure la città
era stata duramente colpita: polvere e macerie. La grande vetreria,
appena oltre la siepe, sventrata dalle bombe, campo di battaglia
per bande di ragazzini alla fine degli anni quaranta.
Si era tuttavia salvato un gioco in legno. Quasi del tutto sbiadite
le tinte dei quattro quadranti che accompagnavano lungo il percorso
quattro pedine fino all’agognata casella di arrivo. Devo
aver giocato molto con il nonno, mentre la nonna era nel pollaio
alle prese con le galline e le uova, divisi solo da una porta
a vetri, il suo trafficare in bella vista.
La prima regola è che lungo il percorso si possono “mangiare”
le pedine dell’avversario, quando si vengono a trovare
sulla stessa casella sulla quale ci ha portato il lancio dei
dadi. In genere questo provoca una reazione, rompe il silenzio
o le chiacchiere, prevede una piccola imprecazione, quasi un’accusa
al compagno, anche se non si tratta di una scorrettezza. Ho
scoperto anni e anni dopo che il nome del gioco, non a caso.
è Non t’arrabbiare. Ancora più tardi che
venne creato da Josef Friedrich Schmidt nell'inverno tra il
1907 e il 1908, ispirandosi alla versione indiana Pachisi e
all’inglese Ludo.
Mensch ärgere Dich nicht è per me il “gioco
del tedesco”.
Per quale percorso, più imprevedibile di tutti quelli
che avrei mai sperimentato in tante sfide, era finito lì
sul nostro tavolo al centro della stanza, davanti al camino
acceso? Quale tedesco, se non un soldato, aveva frequentato
la casa, aveva dimenticato il gioco o forse lasciato come ricordo,
dopo aver condiviso più partite per spiegare bene le
regole?
Oggi ho saputo che, prodotto dal 1914, ebbe successo solo quando
ne furono inviati tremila esemplari agli ospedali militari,
come passatempo per i feriti del primo conflitto mondiale.
In questo modo ho fatto la mia prima conoscenza con i numeri,
anche se dovevo giocoforza fidarmi. Lanciavo speranzoso il mio
dado, altri facevano correre le pedine. Si dice che abbia pianto
disperatamente la prima volta che una delle mie fu eliminata
e di aver spinto tutte la altre giù dal tavolo.
Mi chiedo se questo trauma infantile sia la causa del mio totale
disinteresse per l’attività ludica in genere. I
passatempi sprecati. Mi sono sempre messo da parte, fuori dai
giochi, quando spuntavano mazzi di carte, la dama o gli scacchi.
In fondo potrei dire lo stesso degli sport in genere e dei motori
di ogni categoria.
Se ho mai avuto una patente di guida, di sicuro non l’ho
utilizzata più di un paio di volte. Mai avute significative
affinità con il prototipo del maschio italiano cosiddetto
alfa (alfa romeo nei casi più disperati), un’irresistibile
attrazione per gli alcolici e i locali nei quali si consumano
le notti, una passione per le belle issate su vertiginosi tacchi,
regine del makeup. Per la verità, mai una scrivania in
un ufficio, tranne per quel tempo necessario per impadronirmi
di una professione e delle astuzie che sono indispensabili per
conservarne i vantaggi senza coincidere completamente con essa.
Ringrazio dal profondo di quel resta del mio cuore il dottor
Jean-Philippe Marcoux e la dottoressa Chantal Julien per avermi
rassicurato. Non si tratta dei sintomi di una malattia cronica,
piuttosto del profilo neuro-sociologico del mancino, maschio,
molto femminile. In altri termini, un uomo maldestro.